La storia
AFRICA SETTENTRIONALE
Relazione del Ten. Med. C. Pellis relativa agli avvenimenti dal 20.3. al 3.4.1943.
20.3.43.
Senet. Verso le ore 12 arrivarono presso la fureria della 6°.Batt., che si trovava nella gola accanto a quella dove avevo sistemato il mio posto di medicazione, i primi elementi sbandati (fanti e bersaglieri),provenienti dalla prima linea,dichiarando che questa era stata sfondata. Verso le ore 16 mi venne comunicato che era stato dato l’ordine di ripiegare. Recatomi presso il sottocomandante de11a 6.Batteria s.ten. Cosenza, tale notizia venne smentita. Constatai grande panico specialmente tra gli autisti e trattoristi che si portavano coi propri mezzi verso la batteria. L’energico intervento degli ufficiali riuscì peraltro a dominare la situazione. Il s.ten. Cosenza chiese a mezzo telefono istruzioni al capitano Porcaro che trovavasi assieme al cap. Galiaflo presso l’osservatorio della Batteria. Gli venne comandato di dirigere le bocche da fuoco verso il passo di destra. Mentre venne dato corso a quest’ordine, giunse l’altro ordine di portarsi con i cannoni sulla sinistra della strada, verso il comando Tot situato qualche km. più avanti e dove a poca distanza era in posizione la 5a Batteria. Faccio presente che il terreno, dato le recenti piogge, era in pessime condizioni. Particolarmente difficile era il terreno su cui aveva preso posizione la 5a Batteria. Poco dopo giunse l’ordine di portarsi non più verso il Comando Tot, ma di portarsi con i pezzi sulla strada e di prendere posizione a circa 1 km. dopo Senet. Personalmente ritenni opportuno rimanere sul posto fino a che la situazione si fosse meglio chiarita e per poter prestare la mia opera ad eventuali feriti. Al calare delle tenebre riprese un violento fuoco d’artiglieria da parte nemica, diretto verso la posizione della 5a Batteria e della Batteria Contraerea, situata più indietro sulla sinistra della strada. Entrambe le Batterie risposero al fuoco. Vidi scoppiare numerose granate pure presso il Comando Tot. Nel frattempo avevo perso ogni collegamento con la 6°Batteria che si era portata indietro. Verso le ore 18—19 arrivarono sulla Posizioni della batteria contraerea granate provenienti dall’ala destra. La batteria rispose al fuoco anche in tale direzione. La 5° batteria invece continuò a sparare in direzione frontale. Il fuoco d’artiglieria cessò dopo le 19 da entrambe le parti.
Nel frattempo avevo mandato il mio infermiere, il mio attendente e l’autista, assieme al sergente Bompadre a recuperare carburante dalla vettura dell’autista Bottoni (una FIAT 626) rimasta immobilizzata sul terreno a causa della rottura dello sterzo. Raccolti i miei uomini ed alcuni sbandati, assicuratomi che non v’erano feriti sul posto, verso le ore 20 lasciai a mia volta la posizione.
Dopo Senet trovai immobilizzato sulla strada un trattore con un cannone. Raccolta la radio abbandonata sul posto, diedi ordine all’autista di proseguire verso Maknassy. Strada facendo raccolsi ancora artiglieri, fanti e bersaglieri che isolatamente o in gruppi si ritiravano nella stessa direzione, Successivamente incontrai il S.Ten. Cosenza che mi dichiarò d’essere stato abbandonato dalla propria Battaglione. mentre aveva tentato di prendere contatto col Comando Tot. Poco dopo raggiungemmo pure il S.Ten. Gulino ed il S.Ten. Briganti, entrambi privi di notizie della propria Batteria che evidentemente aveva proseguito di propria iniziativa. Nei pressi di Maknassy raggiungemmo i trattori con le bocche da fuoco ed il resto degli uomini. Verso le ore 23 ebbi l’ordine di proseguire in direzione di Mezzouna.
21. 3.43.
Alle ore 15.30 mi venne trasmesso dal Comando Verdi un fonogramma urgente per il Generale Imperiali che io portai di persona a Maknassy
22. 3.43.
Al mattino ebbi l’ordine dì ritornare sul passo Noemia. La sera dello stesso giorno iniziò il bombardamento nemico. Provvidi in condizioni quanto mai sfavorevoli alla medicazione dei feriti. All’imbrunire il posto di medicazione venne colpito da una granata nemica. Ebbi allora l’ordine da parte del Generale Imperiali, tramite il magg. Vascon, di portarmi in un posto più sicuro. Medicati gli ultimi feriti e provveduto al loro smistamento, mi portai,a notte inoltrata, al primo casello ferroviario dopo Noemia.
23.3.43.
Verso mezzoggiorno venni invitato da un ufficiale tedesco di recarmi al secondo casello ferroviario ove per ordine del Generale Imperiali si era istituito un posto di blocco e di raccolta delle truppe italiane in ripiegamento. Ebbi l’incarico di provvedere alla organizzazione di questi elementi che dovevano costituire una seconda linea di difesa.
24. 3 .43.
Al mattino giunse sul posto il cap.Di Fico che per ordine della L° Brigata ebbe l’incarico di assumere il comando degli italiani sul posto. Al dopopranzo ci portammo in una posizione, a sinistra di Mezzouna, domandata dal cap. Haut dell’Afrika Korps. Ebbi allora la visita del cap. med. Ianuario, capo ufficio sanità della L° Brigata speciale, il quale mi disse che io ero passato alle sue dirette dipendenze e che solo da lui dovevo attendere ordini. Non mi diede peraltro alcuni ordine scritto in merito. Verso sera ebbi ,5i nuovo l’ordine di portarmi in linea. Sistemai il mio posto di medicazione accanto al rifugio del magg. Vascon nei pressi del posto di medicazione tedesco.
25. 3.43.
Intenso fuoco d’artiglieria sulle nostre posizioni. Fungo da interprete ed ufficiale di collegamento tra il Comando italiano e quello germanico.
26. 3.43.
Nessuna variante degna di nota. Persiste sempre intenso il fuoco dell’artiglieria nemica.
27. 3. 43.
Continua sempre con molta intensità il bombardamento nemico. Verso le ore 21 il cap. Haut m’invita a seguirlo 1al suo posto di comando.
Ivi mi comunica che fra poco avrebbe avuto luogo un attacco nostro contro l’ala destra per la conquista d’una delle alture che vi si trovavano. Venni quindi fatto salire sulla vettura del comandante tedesco. Pur non preparato e per nulla attrezzato, non feci alcuna obbiezione, sopratutto per non dare all’alleato l’impressione che un ufficiale medico italiano teme il contatto col nemico. Giunti sul posto ci incontrammo con una compagnia di bersaglieri che per interprete aveva il ten. Rossetti. Ci fù poco dopo comunicato che l’altura che doveva essere presa d’assalto era di già stata occupata dalla fanteria tedesca. Saliti sulla cresta della collina, la compagnia dei bersaglieri venne divisa in due gruppi: uno, a disposizione del ten. Rossetti, doveva prendere posizione sulla cresta della collina, l’altro, affidato a me, doveva portarsi nei pressi del comando operativo come truppa di riserva. Non mi venne peraltro data alcuna indicazione circa l’ubicazione di quel comando. Il soldato tedesco, messo a mia disposizione non seppe darmi alcun chiarimento. Fattasi alba diedi l’ordine ai bersaglieri affidatimi di mettersi al coperto in una gola che successivamente si rivelò un ottimo posto di riparo. Personalmente, assieme ad altri soldati tedeschi unitisi a noi, fra cui un sottufficiale, cercai d’ottenere un collegamento col comando Haut. Intanto entrò di nuovo in azione l’artiglieria nemica con granate d’ogni tipo. Poco dopo cominciò lo sbandamento dei primi elementi dei bersaglieri che non fù più possibile richiamare sul posto. Data l’intensità del bombardamento e la impossibilità di mantenere la posizione in cresta, il ten. Rossetti si portò coi resti dei bersaglieri a lui affidati, nella gola ove io mi trovavo. Verso le 11 riuscii ad entrare in comunicazione telefonica col Comando Haut. Ci venne ordinato di rimanere al coperto nella posizione dove ci trovavamo. Verso mezzogiorno ci venne tolta la comunicazione. Eravamo rimasti, oltre a circa trenta bersaglieri, ancora in cinque ufficiali e precisamente: il ten. d’art. Rossetti, il s.ten. med. Valente Bruno, un s.ten. dei bersaglieri di cui non ricordo il nome, il cappellano dan Graziani Giuseppe ed il sottoscritto. Il bombardamento continuò ad intervalli per tutta la giornata. Verso sera su ordine del comando tedesco, il ten. Rossetti si riportò coi bersaglieri rimasti, di nuovo a quota 250,ove rimase per tutta la notte.
29.3.4 3.
Recatomi, nonostante il bombardamento nemico, al comando Haut per ricevere ordini e viveri per i nostri rimasti sul posto, mi venne comandato di far ripiegare verso sera i bersaglieri verso il posto del comando Haut, il che ebbe luogo in perfetto ordine.
30. 3.43.
Continua per tutta la giornata il sistematico bombardamento delle nostre posizioni. Alla sera il ten. Rossetti, il s.ten. med. Valente ed il cappellano rientrano al proprio reparto a Mezzoima.
31.3.43.
Ricevo a mia volta l’ordine di rientrare assieme ai bersaglieri (del gruppo a me affidato).Si parte a piedi in perfetto ordine al calare della notte.
1.4.43.
Al mattino mi presento a Mezzouna al cap. Di Fico e al magg. Vascon. Chiesta l’autorizzazione al Comando Lang, proseguo con mezzi di fortuna, per raggiungere il mio reparto.
2.4.43.
Verso sera ritrovo il mio reparto ove mi presento al magg. Floridi, mandante il LVIII Gruppo Artiglieria C.A.
3.4.43.
Mi presento pure al comando del 29°Raggruppamento Artiglieria C.A. e ricevo l’ordine di trattenermi presso il reparto in attesa di tenori ordini.
Post scriptum
La relazione allegata m’era stata richiesta dal Comando del 29°RaggrunoamentO dopo il mio rientro al Gruppo. Seppi dal magg. Floridi che, data la mia prolungata assenza, ero stato dato ufficialmente per disperso.
Si tratta quindi d’una relazione giustificativa e perciò compilata in termini concisi, con riferimenti solo all’indispensabile ed in modo da non compromettere nessuno. Per inciso dirò che appena saputo d’essere stato dichiarato disperso, scrissi immediatamente ai miei per avvertirli di come stavano realmente le cose. Seppi poi che la mia lettera era arrivata a Idria colla posta del mattino ed il comunicato del Distretto al dopopranzo dello stesso giorno.
Mi piace ora di riprenderla anche perché é l’unico documento scritto di cui sono rimasto in possesso, che porti date e citi nomi. Putti gli altri eventi della campagna d’Africa sono rimasti affidati alla mia labile memoria ed elogio di von Armin a parte, mancano quindi, come suolsi dire, di pezze d’appoggio.
Non ricordo esattamente la data del giorno in cui ebbi l’ordine di trasferirmi colla 6°Batteria a Senet. Fino allora ero stato sempre colla 4° batteria. Penso sia stato il 14 o 15 marzo. Senet era già stata persa e perduta più d’una volta. Nei pressi della stazione, due carri armati inglesi distrutti, ne davano incontestabile testimonianza.
Il paese era composto da poche decine di case, in parte distrutte, in parte lesionate ed in parte ancora indenni. Ma nessuno si fidò mai di cercarvi rifugio.
Quando vi giunsi col mio camion ambulanza tuttofare, mi resi subito conto di quanto fosse infido il posto. Mentre stavamo scaricando il materiale, sentii all’improvviso il rombo d’un aereo. A non più di 2.0—25 metri d’altezza, un caccia inglese ci sorvolò)4 provveniendo dalle nostre retrovie. Dalla carlina il pilota sporse la mano in segno di saluto. Avrebbe potuto benissimo anche mitragliarci che nessuno gli avrebbe risposto. E dire che a poca distanza c’era una nostra batteria antiaerea. Già circa un mese prima m’era capitato d’essere sorvolato da un bombardiere a bassa quota,proveniente anch’esso dal nostro retroterra. Allora però sul posto di medicazione sventolavano il tricolore e la bandiera della croce rossa, come prescritto.
Dunque, non ci eravamo neppure ancora installati sul posto, che già dall’altra parte sapevano di noi tutto. Ai piedi dell’altura dinanzi alla quale prese posizione la 6° Batt. cui ero stato aggregato, ebbi la fortuna di trovare già bell’e pronto un buco scavato nella collina in cui rifugiarmi. Evidentemente aveva già servito ad altri prima di me. Infatti vi trovai, messo in bella mostra, un foglio scritto in tedesco, sul quale un ufficiale, non so se inglese od americano, mandava ad un capitanò tedesco, di cui fece anche il nome, che purtroppo non ricordo, saluti ed auguri di buon soggiorno, avvertendolo che presto sarebbe ritornato.
Si vede che questo capitano dell’Afrika Korps vi aveva dimorato prima di dover cedere il posto al nemico e questi, quando dovette ritirarsi a sua volta, nel presupposto che il rifugio sarebbe stato di nuovo occupato dal predecessore, aveva voluto lasciargli l’ironico messaggio che invece é finito nelle mie mani.
20. 3.43.
I fatti ricordati nella relazione si commentano da se. La zona era occupata tutta dalla nostra artiglieria. Tre batterie: la 6° e la 5° più una batteria contraerea. Davanti alle batterie c’era la cosiddetta prima linea costituita da fanti e bersaglieri. Quindi sempre italiani. Tra artiglieria e fanteria c’era però anche un comando tedesco, il Comando Tot, che non mancava di comandare. Quindi niente di strano se ad un dato momento tra ordini e contrordini non si riusciva più a capire se a comandare erano i nostri o i tedeschi.
Quando verso le ore 20 lasciai Senet coi miei della sanità, s’era già fatto buio e sulla piana era calato un sinistro silenzio. Mentre gli uomini si preoccupavano solo di potersi mettere in salvo, io mi sentii preso da una strana malinconia, da una profonda tristezza. Mi venne da identificare Senet con Caporetto e mi resi perfettamente conto che questa fuga di fronte ad un nemico invisibile, era l’inizio della fine. La fine dell’impero.
Al passo di Noemi, ove mi venne ordinato di fermarmi, s’attestò pure la 6° batteria coi tre canoni che le erano rimasti. Ci fu una disputa se sistemarli in cresta o dietro l’altura. L’ufficiale di complemento era propenso per quest’ultima soluzione mentre quello di carriera li voleva in cresta. Tra parigrado la ragione era sempre dalla parte di quello di carriera. Così i cannoni vennero posti in cresta e due giorni dopo, quando il nemico riprese a bombardarci (22.3.43.),vennero messi fuori uso alle prime bordate. Ci furono allora molti feriti di cui alcuni molto gravi. Ufficiali ed artiglieri abbandonarono la posizione la sera stessa.
23.3.43.
sul posto trovai in verità solo poche decine di soldati e qualche ufficiale subalterno. Tutti col morale a terra. Del mio Gruppo non erano rimasti che il mio infermiere, il mio attendente e l’autista col camion ambulanza, più due portabarelle.
24. 3. 43.
A farmi tornare sulla linea di fuoco fu proprio il cap. Iannuario che il giorno dopo venne sul posto in persona per rendersi conto della situazione. Vi rimase si e no per mezz’ora. Quindi risalì sulla sua vettura per ritornare da dove era venuto e non lo rividi mai più.
25. 3.43.
Il mio infermiere di cui non ricordo purtroppo il nome, ma che so che era Cadorino, venne colto da una grave crisi di sconforto. Da tutti me la sarei aspettata meno che da lui. Sembrava fatto di roccia ed invece era più fragile della creta. S’era sposato pochi giorni prima d’essere stato richiamato alle armi. Piangeva come un bambino e ripeteva di continuo che voleva rivedere la sua sposa, che non voleva morire. Cercai di calmano e gli feci una proposta che di colpo mutò il suo pianto in un largo sorriso.
Ero ritornato sul passo di Noemia, da tutti ormai chiamato il passo della morte, col camion ambulanza. La presenza dell’automezzo durante il giorno era del tutto inutile. Anzi d’intralcio. Perciò feci scaricare il materiale di cui avevo bisogno e che in sostanza si riduceva a due cassette contenenti materiale di medicazione ed istrumenti di primo intervento. A sera inoltrata quando l’artiglieria nemica cesse il fuoco, diedi ordine all’autista di ritornare a Mezzuona coll’infermiere Cadorino, di rimanervi al riparo durante il giorno e di ritornare sul posto solo di notte per portarci da mangiare e per ripartire poi subito cogli eventuali feriti.
Anche le ambulanze tedesche giungevano in linea solo a notte inoltrata e ripartivano subito dopo coi propri feriti. Rimasero con me l’attendente e due porta feriti.
Nella relazione parlo anche di collegamento tra il Comando italiano e quello tedesco. In realtà non era proprio così. Infatti non avevo più alcun contatto col Comando italiano che sarebbe dovuto essere quello della L° Brigata.
27.3.43.
Quella sera la mia ”ambulanza” non mi al solito posto e non mi vi trovò neppure le sere successive. Il Latta evidentemente venne segnalato al Gruppo e come seppi poi, vennero Latte anche delle ricerche. Inutilmente.
29. 3. 43.
Nella relazione non ho parlato dei due morti che quel giorno trovammo in cresta e che poi seppellimmo ai piedi dell’altura, perché a segnalare il fatto a chi di dovere, aveva provveduto il cappellano.30343
Col rientro al proprio reparto del ten. Rossetti, del s.ten. med. Valente e del Capellano cogli uomini a loro affidati, che se erano ancora in dieci, erano molti, io sono rimasto solo con non più di dieci,dodici uomini.
A rimanere sul posto spettava veramente al s.ten. med. Valente essendo di grado inferiore al mio. Ma il collega, oltre a non conoscere il tedesco, era terrorizzato nel vero senso della parola. Così lasciai che se ne andasse.
Quella sera rimasi senza viveri. Dovetti perciò ricorrere ai tedeschi perché ci dessero da mangiare.
Il rancio veniva portato in linea verso mezzanotte. Alla sua distribuzione per i miei provvidi io stesso assieme all’infermiere bersagliere che era rimasto con me. Era un ragazzo molto in gamba, rispettoso e pieno di coraggio. La distribuzione avveniva allo scoperto. Non avevamo finito d’accontentare tutti, che l’infermiere, che si trovava in quel momento non più di mezzo metro distante da me, s’accasciò a terra gemendo. Era stato colpito al ventre da una pallottola di qualche cecchino. Non mi fù possibile fare altro che caricarlo subito sull’ambulanza tedesca che vi si trovava e che con altri feriti tedeschi lo portò indietro. Inutile dire che non ho mai più saputo nulla di lui. Purtroppo per i feriti addominali, in guerra, la prognosi é quasi sempre infausta.
31. 3.43.
Per essere preciso fui io stesso a chiedere al captano Haut di poter rientrare. I pochi bersaglieri che ancora non avevano tagliata la corda erano diventati per i tedeschi soltanto un peso inutile. Rimasti senza propri ufficiali, senza rifornimento autonomo, terrorizzati dall’incessante fuoco nemico, mi dissero chiaramente che se non avessi ottenuto l’ordine di riportarli indietro, se ne sarebbero andati per conto loro. La mia stessa presenza non trovava più motivazione. Non servivo più come medico, né come interprete e tanto meno come ufficiale di collegamento che, come già detto, sono stato per modo di dire. Il cap. Haut non ebbe nulla in contrario alla nostra partenza e mi congedò con molta cordialità così, come scritto nella relazione partimmo a piedi, in perfetto ordine, al calar della notte.
1.4.43. — 3.4.43.
Come riferito.
In appendice alla mia relazione, dirò ancora che quando occupammo Senet, mi colpì la presenza di un traliccio di cui nessuno riuscì a capirne la funzione. Era molto simile ai tralicci che servono al trasporto della corrente elettrica ad alta tensione, ma mancava dei supporti per i fili. Era pure più stretto e costruito in modo da consentirne facilmente la scalata. Qualcuno avanzò l’ipotesi che fosse servito agli avversari come posto d’osservazione. Ipotesi poco attendibile perché mancava di qualsiasi piattaforma. Solo quando ero di già prigioniero venni a sapere che si trattava d’un traliccio per radar. Nessuno di noi poteva indovinano per il semplice fatto che allora non sapevamo neppure che cosa fosse un radar. Me lo spiegò per la prima volta un ufficiale inglese che un bel giorno venne a trovare me ed il collega Carminati all’infermeria del campo di concentramento di Souk el Khemis dove prestavo servizio. Non era una cosa insolita che, oltre al cap. medico inglese che comandava l’infermeria, altri ufficiali inglesi venissero a fare quattro chiacchiere con noi. Non era difficile capire che erano del servizio di sicurezza o del controspionaggio britannico. Parlavano più lingue, erano molto affabili ed avevano sempre qualche cosa da chiedere. Il capitano in parola, che masticava discretamente il tedesco si dimostrò molto soddisfatto della nostra ignoranza in merito al radar. Da lui seppi pure che nel periodo in cui mi trovavo sul passo Noemi, rispettivamente sulle alture ricordate nella relazione, lui si trovava sullo stesso fronte dall’altra parte. Comandava una compagnia di cecchini ai quali si doveva con ogni probabilità l’uccisione dei due soldati che il 29.3.43. abbiamo trovati morti in cresta ed il ferimento del mio infermiere. Ci spiegò che i suoi uomini si portavano di notte sull’altura con il viso e le mani tinte di nero e segnalavano la loro posizione ai propri compagni imitando il richiamo di un uccello. Sono convinto che non mi raccontasse frottole perché infatti, ogni notte ,quando tutto era immerso nell’oscurità, tra sporadiche raffiche di mitra con traccianti, fucilate ed isolati scoppi di granate, si sentiva anche questo strano e lugubre canto d’uccello riecheggiare ad intervalli quasi regolari, provenienti sempre da punti diversi. Di giorno in quella zona brulla e sabbiosa, d’uccelli non avevo mai trovato alcuna traccia.
Relazione del Ten. Med. C. Pellis relativa agli avvenimenti dal 20.3. al 3.4.1943.
20.3.43.
Senet. Verso le ore 12 arrivarono presso la fureria della 6°.Batt., che si trovava nella gola accanto a quella dove avevo sistemato il mio posto di medicazione, i primi elementi sbandati (fanti e bersaglieri),provenienti dalla prima linea,dichiarando che questa era stata sfondata. Verso le ore 16 mi venne comunicato che era stato dato l’ordine di ripiegare. Recatomi presso il sottocomandante de11a 6.Batteria s.ten. Cosenza, tale notizia venne smentita. Constatai grande panico specialmente tra gli autisti e trattoristi che si portavano coi propri mezzi verso la batteria. L’energico intervento degli ufficiali riuscì peraltro a dominare la situazione. Il s.ten. Cosenza chiese a mezzo telefono istruzioni al capitano Porcaro che trovavasi assieme al cap. Galiaflo presso l’osservatorio della Batteria. Gli venne comandato di dirigere le bocche da fuoco verso il passo di destra. Mentre venne dato corso a quest’ordine, giunse l’altro ordine di portarsi con i cannoni sulla sinistra della strada, verso il comando Tot situato qualche km. più avanti e dove a poca distanza era in posizione la 5a Batteria. Faccio presente che il terreno, dato le recenti piogge, era in pessime condizioni. Particolarmente difficile era il terreno su cui aveva preso posizione la 5a Batteria. Poco dopo giunse l’ordine di portarsi non più verso il Comando Tot, ma di portarsi con i pezzi sulla strada e di prendere posizione a circa 1 km. dopo Senet. Personalmente ritenni opportuno rimanere sul posto fino a che la situazione si fosse meglio chiarita e per poter prestare la mia opera ad eventuali feriti. Al calare delle tenebre riprese un violento fuoco d’artiglieria da parte nemica, diretto verso la posizione della 5a Batteria e della Batteria Contraerea, situata più indietro sulla sinistra della strada. Entrambe le Batterie risposero al fuoco. Vidi scoppiare numerose granate pure presso il Comando Tot. Nel frattempo avevo perso ogni collegamento con la 6°Batteria che si era portata indietro. Verso le ore 18—19 arrivarono sulla Posizioni della batteria contraerea granate provenienti dall’ala destra. La batteria rispose al fuoco anche in tale direzione. La 5° batteria invece continuò a sparare in direzione frontale. Il fuoco d’artiglieria cessò dopo le 19 da entrambe le parti.
Nel frattempo avevo mandato il mio infermiere, il mio attendente e l’autista, assieme al sergente Bompadre a recuperare carburante dalla vettura dell’autista Bottoni (una FIAT 626) rimasta immobilizzata sul terreno a causa della rottura dello sterzo. Raccolti i miei uomini ed alcuni sbandati, assicuratomi che non v’erano feriti sul posto, verso le ore 20 lasciai a mia volta la posizione.
Dopo Senet trovai immobilizzato sulla strada un trattore con un cannone. Raccolta la radio abbandonata sul posto, diedi ordine all’autista di proseguire verso Maknassy. Strada facendo raccolsi ancora artiglieri, fanti e bersaglieri che isolatamente o in gruppi si ritiravano nella stessa direzione, Successivamente incontrai il S.Ten. Cosenza che mi dichiarò d’essere stato abbandonato dalla propria Battaglione. mentre aveva tentato di prendere contatto col Comando Tot. Poco dopo raggiungemmo pure il S.Ten. Gulino ed il S.Ten. Briganti, entrambi privi di notizie della propria Batteria che evidentemente aveva proseguito di propria iniziativa. Nei pressi di Maknassy raggiungemmo i trattori con le bocche da fuoco ed il resto degli uomini. Verso le ore 23 ebbi l’ordine di proseguire in direzione di Mezzouna.
21. 3.43.
Alle ore 15.30 mi venne trasmesso dal Comando Verdi un fonogramma urgente per il Generale Imperiali che io portai di persona a Maknassy
22. 3.43.
Al mattino ebbi l’ordine dì ritornare sul passo Noemia. La sera dello stesso giorno iniziò il bombardamento nemico. Provvidi in condizioni quanto mai sfavorevoli alla medicazione dei feriti. All’imbrunire il posto di medicazione venne colpito da una granata nemica. Ebbi allora l’ordine da parte del Generale Imperiali, tramite il magg. Vascon, di portarmi in un posto più sicuro. Medicati gli ultimi feriti e provveduto al loro smistamento, mi portai,a notte inoltrata, al primo casello ferroviario dopo Noemia.
23.3.43.
Verso mezzoggiorno venni invitato da un ufficiale tedesco di recarmi al secondo casello ferroviario ove per ordine del Generale Imperiali si era istituito un posto di blocco e di raccolta delle truppe italiane in ripiegamento. Ebbi l’incarico di provvedere alla organizzazione di questi elementi che dovevano costituire una seconda linea di difesa.
24. 3 .43.
Al mattino giunse sul posto il cap.Di Fico che per ordine della L° Brigata ebbe l’incarico di assumere il comando degli italiani sul posto. Al dopopranzo ci portammo in una posizione, a sinistra di Mezzouna, domandata dal cap. Haut dell’Afrika Korps. Ebbi allora la visita del cap. med. Ianuario, capo ufficio sanità della L° Brigata speciale, il quale mi disse che io ero passato alle sue dirette dipendenze e che solo da lui dovevo attendere ordini. Non mi diede peraltro alcuni ordine scritto in merito. Verso sera ebbi ,5i nuovo l’ordine di portarmi in linea. Sistemai il mio posto di medicazione accanto al rifugio del magg. Vascon nei pressi del posto di medicazione tedesco.
25. 3.43.
Intenso fuoco d’artiglieria sulle nostre posizioni. Fungo da interprete ed ufficiale di collegamento tra il Comando italiano e quello germanico.
26. 3.43.
Nessuna variante degna di nota. Persiste sempre intenso il fuoco dell’artiglieria nemica.
27. 3. 43.
Continua sempre con molta intensità il bombardamento nemico. Verso le ore 21 il cap. Haut m’invita a seguirlo 1al suo posto di comando.
Ivi mi comunica che fra poco avrebbe avuto luogo un attacco nostro contro l’ala destra per la conquista d’una delle alture che vi si trovavano. Venni quindi fatto salire sulla vettura del comandante tedesco. Pur non preparato e per nulla attrezzato, non feci alcuna obbiezione, sopratutto per non dare all’alleato l’impressione che un ufficiale medico italiano teme il contatto col nemico. Giunti sul posto ci incontrammo con una compagnia di bersaglieri che per interprete aveva il ten. Rossetti. Ci fù poco dopo comunicato che l’altura che doveva essere presa d’assalto era di già stata occupata dalla fanteria tedesca. Saliti sulla cresta della collina, la compagnia dei bersaglieri venne divisa in due gruppi: uno, a disposizione del ten. Rossetti, doveva prendere posizione sulla cresta della collina, l’altro, affidato a me, doveva portarsi nei pressi del comando operativo come truppa di riserva. Non mi venne peraltro data alcuna indicazione circa l’ubicazione di quel comando. Il soldato tedesco, messo a mia disposizione non seppe darmi alcun chiarimento. Fattasi alba diedi l’ordine ai bersaglieri affidatimi di mettersi al coperto in una gola che successivamente si rivelò un ottimo posto di riparo. Personalmente, assieme ad altri soldati tedeschi unitisi a noi, fra cui un sottufficiale, cercai d’ottenere un collegamento col comando Haut. Intanto entrò di nuovo in azione l’artiglieria nemica con granate d’ogni tipo. Poco dopo cominciò lo sbandamento dei primi elementi dei bersaglieri che non fù più possibile richiamare sul posto. Data l’intensità del bombardamento e la impossibilità di mantenere la posizione in cresta, il ten. Rossetti si portò coi resti dei bersaglieri a lui affidati, nella gola ove io mi trovavo. Verso le 11 riuscii ad entrare in comunicazione telefonica col Comando Haut. Ci venne ordinato di rimanere al coperto nella posizione dove ci trovavamo. Verso mezzogiorno ci venne tolta la comunicazione. Eravamo rimasti, oltre a circa trenta bersaglieri, ancora in cinque ufficiali e precisamente: il ten. d’art. Rossetti, il s.ten. med. Valente Bruno, un s.ten. dei bersaglieri di cui non ricordo il nome, il cappellano dan Graziani Giuseppe ed il sottoscritto. Il bombardamento continuò ad intervalli per tutta la giornata. Verso sera su ordine del comando tedesco, il ten. Rossetti si riportò coi bersaglieri rimasti, di nuovo a quota 250,ove rimase per tutta la notte.
29.3.4 3.
Recatomi, nonostante il bombardamento nemico, al comando Haut per ricevere ordini e viveri per i nostri rimasti sul posto, mi venne comandato di far ripiegare verso sera i bersaglieri verso il posto del comando Haut, il che ebbe luogo in perfetto ordine.
30. 3.43.
Continua per tutta la giornata il sistematico bombardamento delle nostre posizioni. Alla sera il ten. Rossetti, il s.ten. med. Valente ed il cappellano rientrano al proprio reparto a Mezzoima.
31.3.43.
Ricevo a mia volta l’ordine di rientrare assieme ai bersaglieri (del gruppo a me affidato).Si parte a piedi in perfetto ordine al calare della notte.
1.4.43.
Al mattino mi presento a Mezzouna al cap. Di Fico e al magg. Vascon. Chiesta l’autorizzazione al Comando Lang, proseguo con mezzi di fortuna, per raggiungere il mio reparto.
2.4.43.
Verso sera ritrovo il mio reparto ove mi presento al magg. Floridi, mandante il LVIII Gruppo Artiglieria C.A.
3.4.43.
Mi presento pure al comando del 29°Raggruppamento Artiglieria C.A. e ricevo l’ordine di trattenermi presso il reparto in attesa di tenori ordini.
Post scriptum
La relazione allegata m’era stata richiesta dal Comando del 29°RaggrunoamentO dopo il mio rientro al Gruppo. Seppi dal magg. Floridi che, data la mia prolungata assenza, ero stato dato ufficialmente per disperso.
Si tratta quindi d’una relazione giustificativa e perciò compilata in termini concisi, con riferimenti solo all’indispensabile ed in modo da non compromettere nessuno. Per inciso dirò che appena saputo d’essere stato dichiarato disperso, scrissi immediatamente ai miei per avvertirli di come stavano realmente le cose. Seppi poi che la mia lettera era arrivata a Idria colla posta del mattino ed il comunicato del Distretto al dopopranzo dello stesso giorno.
Mi piace ora di riprenderla anche perché é l’unico documento scritto di cui sono rimasto in possesso, che porti date e citi nomi. Putti gli altri eventi della campagna d’Africa sono rimasti affidati alla mia labile memoria ed elogio di von Armin a parte, mancano quindi, come suolsi dire, di pezze d’appoggio.
Non ricordo esattamente la data del giorno in cui ebbi l’ordine di trasferirmi colla 6°Batteria a Senet. Fino allora ero stato sempre colla 4° batteria. Penso sia stato il 14 o 15 marzo. Senet era già stata persa e perduta più d’una volta. Nei pressi della stazione, due carri armati inglesi distrutti, ne davano incontestabile testimonianza.
Il paese era composto da poche decine di case, in parte distrutte, in parte lesionate ed in parte ancora indenni. Ma nessuno si fidò mai di cercarvi rifugio.
Quando vi giunsi col mio camion ambulanza tuttofare, mi resi subito conto di quanto fosse infido il posto. Mentre stavamo scaricando il materiale, sentii all’improvviso il rombo d’un aereo. A non più di 2.0—25 metri d’altezza, un caccia inglese ci sorvolò)4 provveniendo dalle nostre retrovie. Dalla carlina il pilota sporse la mano in segno di saluto. Avrebbe potuto benissimo anche mitragliarci che nessuno gli avrebbe risposto. E dire che a poca distanza c’era una nostra batteria antiaerea. Già circa un mese prima m’era capitato d’essere sorvolato da un bombardiere a bassa quota,proveniente anch’esso dal nostro retroterra. Allora però sul posto di medicazione sventolavano il tricolore e la bandiera della croce rossa, come prescritto.
Dunque, non ci eravamo neppure ancora installati sul posto, che già dall’altra parte sapevano di noi tutto. Ai piedi dell’altura dinanzi alla quale prese posizione la 6° Batt. cui ero stato aggregato, ebbi la fortuna di trovare già bell’e pronto un buco scavato nella collina in cui rifugiarmi. Evidentemente aveva già servito ad altri prima di me. Infatti vi trovai, messo in bella mostra, un foglio scritto in tedesco, sul quale un ufficiale, non so se inglese od americano, mandava ad un capitanò tedesco, di cui fece anche il nome, che purtroppo non ricordo, saluti ed auguri di buon soggiorno, avvertendolo che presto sarebbe ritornato.
Si vede che questo capitano dell’Afrika Korps vi aveva dimorato prima di dover cedere il posto al nemico e questi, quando dovette ritirarsi a sua volta, nel presupposto che il rifugio sarebbe stato di nuovo occupato dal predecessore, aveva voluto lasciargli l’ironico messaggio che invece é finito nelle mie mani.
20. 3.43.
I fatti ricordati nella relazione si commentano da se. La zona era occupata tutta dalla nostra artiglieria. Tre batterie: la 6° e la 5° più una batteria contraerea. Davanti alle batterie c’era la cosiddetta prima linea costituita da fanti e bersaglieri. Quindi sempre italiani. Tra artiglieria e fanteria c’era però anche un comando tedesco, il Comando Tot, che non mancava di comandare. Quindi niente di strano se ad un dato momento tra ordini e contrordini non si riusciva più a capire se a comandare erano i nostri o i tedeschi.
Quando verso le ore 20 lasciai Senet coi miei della sanità, s’era già fatto buio e sulla piana era calato un sinistro silenzio. Mentre gli uomini si preoccupavano solo di potersi mettere in salvo, io mi sentii preso da una strana malinconia, da una profonda tristezza. Mi venne da identificare Senet con Caporetto e mi resi perfettamente conto che questa fuga di fronte ad un nemico invisibile, era l’inizio della fine. La fine dell’impero.
Al passo di Noemi, ove mi venne ordinato di fermarmi, s’attestò pure la 6° batteria coi tre canoni che le erano rimasti. Ci fu una disputa se sistemarli in cresta o dietro l’altura. L’ufficiale di complemento era propenso per quest’ultima soluzione mentre quello di carriera li voleva in cresta. Tra parigrado la ragione era sempre dalla parte di quello di carriera. Così i cannoni vennero posti in cresta e due giorni dopo, quando il nemico riprese a bombardarci (22.3.43.),vennero messi fuori uso alle prime bordate. Ci furono allora molti feriti di cui alcuni molto gravi. Ufficiali ed artiglieri abbandonarono la posizione la sera stessa.
23.3.43.
sul posto trovai in verità solo poche decine di soldati e qualche ufficiale subalterno. Tutti col morale a terra. Del mio Gruppo non erano rimasti che il mio infermiere, il mio attendente e l’autista col camion ambulanza, più due portabarelle.
24. 3. 43.
A farmi tornare sulla linea di fuoco fu proprio il cap. Iannuario che il giorno dopo venne sul posto in persona per rendersi conto della situazione. Vi rimase si e no per mezz’ora. Quindi risalì sulla sua vettura per ritornare da dove era venuto e non lo rividi mai più.
25. 3.43.
Il mio infermiere di cui non ricordo purtroppo il nome, ma che so che era Cadorino, venne colto da una grave crisi di sconforto. Da tutti me la sarei aspettata meno che da lui. Sembrava fatto di roccia ed invece era più fragile della creta. S’era sposato pochi giorni prima d’essere stato richiamato alle armi. Piangeva come un bambino e ripeteva di continuo che voleva rivedere la sua sposa, che non voleva morire. Cercai di calmano e gli feci una proposta che di colpo mutò il suo pianto in un largo sorriso.
Ero ritornato sul passo di Noemia, da tutti ormai chiamato il passo della morte, col camion ambulanza. La presenza dell’automezzo durante il giorno era del tutto inutile. Anzi d’intralcio. Perciò feci scaricare il materiale di cui avevo bisogno e che in sostanza si riduceva a due cassette contenenti materiale di medicazione ed istrumenti di primo intervento. A sera inoltrata quando l’artiglieria nemica cesse il fuoco, diedi ordine all’autista di ritornare a Mezzuona coll’infermiere Cadorino, di rimanervi al riparo durante il giorno e di ritornare sul posto solo di notte per portarci da mangiare e per ripartire poi subito cogli eventuali feriti.
Anche le ambulanze tedesche giungevano in linea solo a notte inoltrata e ripartivano subito dopo coi propri feriti. Rimasero con me l’attendente e due porta feriti.
Nella relazione parlo anche di collegamento tra il Comando italiano e quello tedesco. In realtà non era proprio così. Infatti non avevo più alcun contatto col Comando italiano che sarebbe dovuto essere quello della L° Brigata.
27.3.43.
Quella sera la mia ”ambulanza” non mi al solito posto e non mi vi trovò neppure le sere successive. Il Latta evidentemente venne segnalato al Gruppo e come seppi poi, vennero Latte anche delle ricerche. Inutilmente.
29. 3. 43.
Nella relazione non ho parlato dei due morti che quel giorno trovammo in cresta e che poi seppellimmo ai piedi dell’altura, perché a segnalare il fatto a chi di dovere, aveva provveduto il cappellano.30343
Col rientro al proprio reparto del ten. Rossetti, del s.ten. med. Valente e del Capellano cogli uomini a loro affidati, che se erano ancora in dieci, erano molti, io sono rimasto solo con non più di dieci,dodici uomini.
A rimanere sul posto spettava veramente al s.ten. med. Valente essendo di grado inferiore al mio. Ma il collega, oltre a non conoscere il tedesco, era terrorizzato nel vero senso della parola. Così lasciai che se ne andasse.
Quella sera rimasi senza viveri. Dovetti perciò ricorrere ai tedeschi perché ci dessero da mangiare.
Il rancio veniva portato in linea verso mezzanotte. Alla sua distribuzione per i miei provvidi io stesso assieme all’infermiere bersagliere che era rimasto con me. Era un ragazzo molto in gamba, rispettoso e pieno di coraggio. La distribuzione avveniva allo scoperto. Non avevamo finito d’accontentare tutti, che l’infermiere, che si trovava in quel momento non più di mezzo metro distante da me, s’accasciò a terra gemendo. Era stato colpito al ventre da una pallottola di qualche cecchino. Non mi fù possibile fare altro che caricarlo subito sull’ambulanza tedesca che vi si trovava e che con altri feriti tedeschi lo portò indietro. Inutile dire che non ho mai più saputo nulla di lui. Purtroppo per i feriti addominali, in guerra, la prognosi é quasi sempre infausta.
31. 3.43.
Per essere preciso fui io stesso a chiedere al captano Haut di poter rientrare. I pochi bersaglieri che ancora non avevano tagliata la corda erano diventati per i tedeschi soltanto un peso inutile. Rimasti senza propri ufficiali, senza rifornimento autonomo, terrorizzati dall’incessante fuoco nemico, mi dissero chiaramente che se non avessi ottenuto l’ordine di riportarli indietro, se ne sarebbero andati per conto loro. La mia stessa presenza non trovava più motivazione. Non servivo più come medico, né come interprete e tanto meno come ufficiale di collegamento che, come già detto, sono stato per modo di dire. Il cap. Haut non ebbe nulla in contrario alla nostra partenza e mi congedò con molta cordialità così, come scritto nella relazione partimmo a piedi, in perfetto ordine, al calar della notte.
1.4.43. — 3.4.43.
Come riferito.
In appendice alla mia relazione, dirò ancora che quando occupammo Senet, mi colpì la presenza di un traliccio di cui nessuno riuscì a capirne la funzione. Era molto simile ai tralicci che servono al trasporto della corrente elettrica ad alta tensione, ma mancava dei supporti per i fili. Era pure più stretto e costruito in modo da consentirne facilmente la scalata. Qualcuno avanzò l’ipotesi che fosse servito agli avversari come posto d’osservazione. Ipotesi poco attendibile perché mancava di qualsiasi piattaforma. Solo quando ero di già prigioniero venni a sapere che si trattava d’un traliccio per radar. Nessuno di noi poteva indovinano per il semplice fatto che allora non sapevamo neppure che cosa fosse un radar. Me lo spiegò per la prima volta un ufficiale inglese che un bel giorno venne a trovare me ed il collega Carminati all’infermeria del campo di concentramento di Souk el Khemis dove prestavo servizio. Non era una cosa insolita che, oltre al cap. medico inglese che comandava l’infermeria, altri ufficiali inglesi venissero a fare quattro chiacchiere con noi. Non era difficile capire che erano del servizio di sicurezza o del controspionaggio britannico. Parlavano più lingue, erano molto affabili ed avevano sempre qualche cosa da chiedere. Il capitano in parola, che masticava discretamente il tedesco si dimostrò molto soddisfatto della nostra ignoranza in merito al radar. Da lui seppi pure che nel periodo in cui mi trovavo sul passo Noemi, rispettivamente sulle alture ricordate nella relazione, lui si trovava sullo stesso fronte dall’altra parte. Comandava una compagnia di cecchini ai quali si doveva con ogni probabilità l’uccisione dei due soldati che il 29.3.43. abbiamo trovati morti in cresta ed il ferimento del mio infermiere. Ci spiegò che i suoi uomini si portavano di notte sull’altura con il viso e le mani tinte di nero e segnalavano la loro posizione ai propri compagni imitando il richiamo di un uccello. Sono convinto che non mi raccontasse frottole perché infatti, ogni notte ,quando tutto era immerso nell’oscurità, tra sporadiche raffiche di mitra con traccianti, fucilate ed isolati scoppi di granate, si sentiva anche questo strano e lugubre canto d’uccello riecheggiare ad intervalli quasi regolari, provenienti sempre da punti diversi. Di giorno in quella zona brulla e sabbiosa, d’uccelli non avevo mai trovato alcuna traccia.